Per
mezzo della tecnologia si produce di più con minor dispendio di
tempo e con un minor utilizzo di risorse umane, perciò mi chiedo se
i posti di lavoro vengano creati o ridotti.
Propongo
alcuni frammenti dell' intervista al professor Luciano Gallino,
sociologo esperto dei rapporti tra la tecnologia e il mondo del
lavoro.
Professor
Luciano Gallino, secondo lei, stiamo andando verso una forma di
disoccupazione tecnologica? In altre parole, è possibile che le
nuove tecnologie portino non a un aumento, ma a una riduzione delle
opportunità di lavoro?
Bisogna intendersi: la
tecnologia è essenzialmente un mezzo per fare due cose diverse.
Da un lato si
può cercare di produrre di più, anche molto di più, utilizzando
la stessa quantità di forze di lavoro. D'altra parte, si può
cercare di utilizzare le potenzialità della tecnologia per ridurre
le forze di lavoro impiegate per produrre un determinato volume di
beni o di servizi. E di qui viene fuori
un’equazione molto semplice: fintanto che si riesce ad aumentare
la produzione, il che vuol dire fintanto che
si riescono ad allargare i mercati, la tecnologia non produce
disoccupazione, perché la forza lavoro
rimane costante e quello che si allarga sono i volumi di produzione,
sono i mercati. I mercati, però, diversi tra di loro, variati come
sono, non possono in generale espandersi all'infinito. Quando
i mercati non possono più espandersi, la tecnologia viene impiegata
prevalentemente per ridurre le forze di lavoro e incomincia a
profilarsi lo spettro della disoccupazione tecnologica.
Per evitare di ridurre le forze di lavoro e quindi di imboccare
troppo rapidamente la strada della disoccupazione tecnologica, è
stato inventato da più di un secolo lo strumento della riduzione
degli orari di lavoro. Un tempo, all'inizio
secolo, si lavorava 3000 ore l'anno, a metà del secolo circa 2500,
e oggi la maggior parte dei lavoratori ha un orario medio annuo di
1600-1700 ore di lavoro. Questo è uno dei vantaggi della
tecnologia, di poter mantenere occupate le persone riducendone la
prestazione. Però l’equazione che ho sommariamente ricordato ha
anche delle rigidità che non si possono ignorare. Se i mercati sono
saturi, in qualche modo si tende a ridurre le ore di lavoro
impiegate per realizzare quella tale produzione.
Dove
incidono di più le innovazioni? Sul lavoro industriale, su quello
impiegatizio o su quello professionale?
Con
diverse modalità e in diversa misura incidono
su tutti e tre i campi. Per quanto riguarda
i tassi di occupazione in senso stretto, si può dire che così come
l'industria ha imboccato la strada dell'agricoltura, che porta ad
avere pochi punti percentuali di addetti sul totale della
popolazione, così i servizi, o perlomeno gran parte dei servizi del
terziario, stanno imboccando la strada dell'industria e quella
precedente dell'agricoltura. Questo perché le
tecnologie producono servizi di moltissimi tipi differenti con tassi
di produttività rilevantissimi. Per quanto
riguarda l'ambito strettamente professionale, che so, l'ambito del
medico, dell'architetto, del designer, eccetera, forse sono meno
rilevanti gli incrementi di produttività ed è invece rilevante la
profonda trasformazione della professione in qualcosa di molto
diverso in presenza della disponibilità di nuove tecnologie. Quello
che è certo, è che non si può sperare di
recuperare nei servizi quello che l'automazione sta eliminando in
termini di forza lavoro nell'industria, perché i servizi sono
automatizzabili esattamente come è automatizzabile la produzione di
beni. Non tutti i servizi sono automatizzabili ma
nemmeno tutti i beni sono automatizzabili, noi ci tagliamo ancora i
capelli grazie ai servizi di un artigiano e nei due ambiti le cose
continueranno ad essere in parte affidate alla mano umana, ma sta di
fatto che una grandissima parte dei servizi è destinata a seguire
la strada dell'automazione, esattamente come quella della produzione
di beni.
Come
si ridefinisce con le nuove tecnologie il rapporto fra tempo libero
e tempo di lavoro?
Attorno
alle nuove tecnologie ci sono molti equivoci per esempio che siano
facilissime da usare,
che uno possa imparare a utilizzarle da solo e così via. Se ci si
pone in grado di saperle usare a livello professionale, le nuove
tecnologie possono
dare luogo a sorprese interessanti perché in molte ore della
giornata possono portare a un qualche tipo di fusione tra lavoro e
divertimento.
Uno come me che usa moltissimo la rete per comunicare, per studiare,
per lavorare, trova anche durante la giornata molti spunti di
divertimento perché scopre nuove cose, si accorge di potersi
muovere in un modo che prima non gli riusciva, ha delle sorprese
dallo schermo, dalle reti, dalle comunicazioni che gli arrivano da
tutte le parti del mondo. E d'altra parte, lavorando fuori ora
quando uno cerca di divertirsi, può di nuovo scoprire che mentre
apre un sito per divertirsi impara qualcosa che gli sarà utile sul
lavoro; io lo considero nell'insieme uno sviluppo molto positivo
perché rende il lavoro un po’ meno meccanico, meno ossessivo, e
rende il divertimento più mirato, un po’ meno erratico. È una
forma di ibridazione molto positiva e che moltissime persone, che
incominciano a usare con capacità professionali la rete, stanno con
loro spasso scoprendo.
La
flessibilità intellettuale riuscirà mai a creare nuovi posti di
lavoro?
Di per sé, la flessibilità
intellettuale, come l'altra flessibilità di cui ci parlano ogni
giorno, che consiste nell'accelerare l'ingresso e l’uscita delle
forze lavoro dalle aziende, temo che di per sé non crei nuove forme
di lavoro e meno che mai nuova occupazione. La
flessibilità intellettuale è importante per cercare di trarre il
meglio dalla tecnologia e, in particolare,
dalle nuove tecnologie.
In presenza delle nuove tecnologie, si corre continuamente il
rischio di applicare strumenti nuovissimi, sia tecnici sia
conoscitivi a vecchie procedure, vecchi modi di organizzazione del
lavoro. Allora la flessibilità può essere
molto importante per far sì che con le nuove tecnologie si facciano
effettivamente cose nuove invece di cercare di automatizzare le
vecchie, perché molte delle nuove
tecnologie sono impiegate precisamente in questo modo, si accetta in
qualche modo la vecchia organizzazione, il corso tradizionalmente
assestato e si pretende di innestare qualche forma di nuova
tecnologia. Questo è un grave errore perché non si ottengono gli
scopi che si volevano, e per di più si contamina, si inquina, la
reputazione delle nuove tecnologie. Dopo 1-2-3-5 insuccessi ci sarà
sempre qualcuno che dice “Avete visto ? Abbiamo speso 10 milioni o
100 milioni o 1 miliardo per rinnovare tecnologia e organizzazione e
adesso lavoriamo peggio di prima”. E questo avviene perché si è
applicata una tecnologia nuovissima a un modello organizzativo
vecchio. Se usando una buona dose di
flessibilità intellettuale si riescono a modificare i modi di
lavorare, il modo di costruire, i modi di pensare affinché siano
sintonizzati con le nuove tecnologie, probabilmente si riuscirà sia
a migliorare il lavoro sia a fare un uso congruo delle nuove
tecnologie e chissà che non si incida anche positivamente sulle
possibilità di occupazione.